Notte di Natale sul fronte del Carso – Racconto

Ciò che avvenne il 24 dicembre del 1916 in un ordinario rifugio d’appostamento sul confine nord orientale Italiano non si trova nei libri di storia. Eppure dopo due guerre e altrettanti anni di pace ritengo che quella notte di Natale abbia bisogno di una buona storia a riguardo.
Quel mercoledì faceva più freddo del solito e io insieme al caporalmaggiore Ghirotti e altri quattro soldati semplici eravamo tutto ciò che restava delle prime truppe appostate in quel rifugio.
Il sole era calato da un paio d’ore e il tempo serale galleggiava soporifero sopra le nostre teste stanche. Quella notte però nessuno avrebbe dormito. L’apprensione sui giovani volti dei soldati e la durezza nelle stringate parole del Ghirotti rivelavano un’attesa dilungatasi per quasi due giorni circa il ritorno di un soldato semplice in missione per rifornimenti.
A dichiarare apertamente il timore generale fu Malupino, chiamato così dai compagni a indicare lo spiccato rosso della capigliatura e la sua provenineza campana:
“Capora’,che facimm’ se Iezzi non torna?”
“Manderemo qualcun’altro” rispose Ghirotti.
“Stanotte?”
“No, domani mattina”.
Bastarono le poche parole di risposta del caporal maggiore per riportare il silenzio tra noi sei.
Avvolti in pesanti giacche ce ne stavamo sul pavimento infreddoliti intorno a una fioca lanterna. Il fuoco nel camino era un lusso dei tempi di pace. Aleggiava un silenzio irrequieto nel quale combattevamo in una danza di espressioni.
Nessuno aveva osato preparare un qualunque pasto, scarseggiavano le provviste e la fame imperava.
I turni di vedetta erano stati sospesi. Quella sera nessun uomo avrebbe fatto il soldato della situazione.
Improvvisamente la flebile voce del giovane Tomei raggiunse le nostre orecchie come i mille echi di un boato:
“Possino cecàmme, Iezzi deve tornare. Mi ha giurato che m’avrebbe fatto visita’ l’Abruzzo e la sua famiglia. Chissà com’è il Natale in Abruzzo!”
A rispondere fu il più grande dei quattro soldati, Puglisi: “Guido, ma ce si babbu, l’unico posto da visitare è la mia terra, la Sicilia. Quando finiamo me ne torno dritto a casa. Lì c’è il sole mica sto’ friddu. Puoi fare i tuffi dai lippi e il mare è così blu che non vedi dove finisce. Pure l’inviernu a Natale è bellu. Altro che Abruzzo, quelli c’hanno solo gli alberi. Nun esti vero, Caporale?”
“Puglisi, il mare non piace a tutti.” risposi distratto.
E Puglisi: “Anche senza mare la Sicilia è bella, capora’!”
Mi voltai verso il Ghirotti. Gli occhi del caporal maggiore si erano ora piantati con un accenno di tenerezza sul quarto dei soldati semplici, il silenzioso ligure Maggiani. Aveva un anno in più del figlio del Ghirotti, per il resto erano identici.
“Maggiani, quanto ci dovrebbe mettere a tornare Iezzi se taglia sul versante est senza fermarsi?”
“Da un giorno al giorno e mezzo, caporal maggiore” rispose il soldato semplice muovendosi per un momento irrequieto.
Sorrisi : “Maggiani, lo conosci bene Iezzi?” chiesi al giovane uomo.
“Sono entrato in questo reparto con lui quasi un anno fa, caporale. Quindi no, non lo conosco Iezzi”.
“Sbagli a dire questo, Maggiani”.
“Caporale?”
“In guerra ti basta poco per conoscere chiunque, credimi”.
“Tiene raggione o’ capora’: si’ tieni n’arma tra e’ mani canosci tutto e tutti” se ne uscì il giovane Malupino, gli occhi gli brillavano.
“Non so se questo possa valere per me allora, di armi ho solo sto’ brutto Carcano dalla canna storta” rispose Maggiani affranto.
“Dai, Maggia’, quannu finimu sto schifiu nun serve a niente” lo confortò Puglisi provocando un sorriso generale.
“Chisto è nu Matale proprio strano” disse Malupino.
La lanterna era sul punto di spegnersi, tra qualche minuto mi sarei alzato per cambiare l’olio.
Quel momento eppure non arrivò mai.
Guardai i miei cinque compagni. I secondi passavano lenti, c’era una strana calma, dissonante per il gioco della guerra. Eppure tutti fingevano di non accorgersene.
I rumori di passi in sottofondo furono quasi impercettibili per chiunque. Solo in seguito ci accorgemmo di un bussare alla porta. Ci alzammo come una sola persona, ma fu Ghirotti ad aprire.
Nessuno si mosse alla vista di Iezzi sulla soglia.
Il soldato semplice piangeva.
“Buon Natale” disse Iezzi. E i colpi di fucile entrarono nel rifugio come fuochi dai mille colori.
Le grida degli Austriaci sostituirono i cori sacri mentre in sei riparavamo sotto i colpi di un’offensiva feroce. Vidi Ghirotti atterrato da un primo proiettile, lui che aveva aperto la porta.
Mi gettai carponi a terra nel disperato tentativo di afferrare la carabina. Fui colpito ad una gamba.
Zoppicante, mi alzai in piedi tentando un attacco disperato. Il dolore fu troppo forte, caddi a terra dopo poco. Mi affligge dovervi comunicare gli eventi dal punto di vista di questo codardo, il quale non prese affatto parte alla difesa del violento agguato poiché si finse morto. Piansi sotto i colpi incapace di contrattaccare. Sentii i proiettili tagliare l’aria sopra la testa e le grida dei compagni farsi sempre più lontane. Probabilmente persi i sensi, non lo rammento. Il tempo passò e con sé portò come scarto di una feroce battaglia un silenzio accecante. Quando ripresi conoscenza era tutto finito. Corpi di uomini esausti giacevano a terra indistintamente. Ne rimaneva solo uno in piedi. Maggiani mi squadrava con occhi stravolti. Il tempo scorreva lento e impossibile. Il soldato semplice era immobile.
“Non lo conoscevo Iezzi, caporale…” accennò.

Sofia Dezzi Bardeschi
Liceo Classico “Galileo” di Firenze – Classe 3C