Maus: potente, sorprendente, fuori dagli schemi.

“175113” è uno dei tantissimi numeri marchiati sulla pelle di un ebreo durante l’Olocausto. In particolare quello, che potrebbe sembrare un numero privo di significato, è quello che è stato attribuito a Vladek, ebreo polacco sopravvissuto ai campi di sterminio che, dopo molti anni, racconta la sua storia al figlio Artie, Art Spiegelman, autore del celebre fumetto “Maus”.Questa serie è speciale, perchè, come si sottolinea con amara ironia nella storia, inizia con 17, numero fortunato, inoltre la somma di tutte le cifre dà come risultato 18, chay, il numero ebraico della vita.

Ci troviamo di fronte a un libro fuori dagli schemi, un fumetto che, in modo semplice, dettagliato e appassionante, racconta la storia di un sopravvissuto e, in parte, anche quella del figlio, che si sente inadatto a descrivere una tragedia così grande e che, più cerca di immaginarla, più gli appare terribile.

E’ una storia i cui significati si sovrappongono e che presenta una visione organica e a tutto tondo della Shoah, vista attraverso gli occhi di un uomo ormai anziano e malato, un po’ burbero e infinitamente avaro, perchè, proprio come afferma Vladek “dai tempi di Hitler non mi piace buttare neanche una briciola!”.

Il titolo stesso contiene un grande significato, infatti “Maus”, in inglese, vuol dire topo e, qui, rappresenta gli ebrei, considerati alla stregua di topi o insetti, uccisi con lo Zyklon B, mentre i nazisti possono essere paragonati a gatti che intrappolano i topi. L’autore ha utilizzato questa metafora anche graficamente per descrivere, in modo incalzante e semplice, il rapporto tra due popoli, uno crudele e dominatore, l’altro perseguitato. La storia di Vladek, seppure uscito salvo da Auschwitz, è tragica, in quanto ha dovuto passare momenti terrificanti nella sua vita e ha visto morire tutta la sua famiglia, compreso il primo figlio Richieu. L’unica rimasta in vita è la moglie Anja che, come accaduto a tanti reduci dei campi, si è suicidata. Il protagonista, dunque, per un certo periodo, ha tentato di dimenticare l’accaduto, buttando anche i diari della moglie, poi, però, la sua storia è stata riportata inevitabilmente alla luce dal figlio Art.

Il fumetto inizia raccontando le vicende di due normali giovani, che si innamorano e si sposano, pian piano, però, tra i due si insinua un fattore che li separa: la guerra. Vladek e Anja hanno sempre cercato di rimanere uniti in quanto l’amore è il collante e la forza più potente del mondo, però, una volta catturati ,vengono separati dalla cattiveria umana. E’ toccante notare come Vladek non abbia mai pensato, neanche per un istante, di rinunciare a vivere; egli voleva resistere e ce l’ha fatta, la sua forza lo ha salvato dalle camere a gas. Attraverso le sue capacità è riuscito ad andare avanti, ad ottenere razioni extra di cibo e ad aiutare la moglie, facendosi spostare a Birkenaw. Anche malato di tifo ha sempre ragionato con estrema lucidità, in modo razionale e accorto, non perdendo mai la fermezza per cercare di vincere la battaglia utilizzando l’intelligenza.

“Maus” riesce a far ripercorrere al lettore la vita del protagonista in tutte le sue tappe: dall’agiatezza alla preoccupazione, dalla vita nei ghetti a quella in cerca di un nascondiglio, fino alla deportazione. Pagina dopo pagina si ripercorre un cammino,un iter, una parte della storia del mondo, una parte dell’esistenza di tutti gli ebrei. Oltre alla vita nel campo, nel fumetto viene sottolineato forse ancora maggiormente il significato stesso della sopravvivenza. Lo psicologo di Art, infatti, afferma riferendosi a Vladek: “Forse tuo padre aveva bisogno di mostrare che aveva sempre ragione..che poteva sopravvivere sempre, perchè si sentiva in colpa di essere sopravvissuto”. Anche la vita dei superstiti costretti a portarsi giorno dopo giorno il ricordo di una parte distopica della loro vita , che, però, è accaduta davvero, è estremamente difficile. Tutte le fissazioni che ha Vladek e che Art non comprende, tutta la sua continua tensione e preoccupazione sono dovuti ai terribili soprusi, alla fame, alle sofferenze che ha dovuto subire in quegli anni in bilico tra la vita e la morte. L’esperienza del lager l’ha sicuramente forgiato, la mania dell’ordine e degli esercizi ginnici derivano proprio da lì..

Il protagonista, inoltre, afferma che in quel periodo talmente corrotto dalla malvagità “non c’erano più famiglie, ognuno pensava per sè”. Durante il pogrom la vita della civiltà ebrea è stata rivoluzionata, nulla serviva più a evitare la deportazione, neppure i soldi, che, agli occhi dell’uomo, risultano indispensabili.

“Maus”può sembrare solo un fumetto, ma, in realtà, riesce ad interpretare in modo eccellente la psicologia dei personaggi e affronta in modo dignitoso e profondo un tema così grande e sconvolgente come quello dell’Olocausto.

Il libro termina in modo improvviso, aprendo una finestra nella mente e nel cuore del lettore; Vladek, infatti, in fin di vita, chiama Art, erroneamente, Richieu, come se avesse avuto un flash, come se fosse ritornato bruscamente nel passato e ci porta istintivamente a pensare a come sarebbe stata la loro vita in altre condizioni, in altri tempi, ma, soprattutto, in libertà.

 

 

Francesca Caputi