Calma piatta all’ora di Inglese – Racconto

Jenny prese il foglio in mano e con un movimento secco disegnò una linea. Era la lezione di Inglese, la professoressa stava spiegando per la dodicesima volta le funzioni del past simple e come riconoscerlo e Jenny era fisicamente incapace di prestare attenzione. Di solito era la prima a criticare gli altri quando si lamentavano di non sapere l’inglese e che la loro professoressa non riusciva spiegare per bene.
“Beh, se non state attenti ci credo che non capite nulla,” controbatteva sempre lei con un sorriso ironico.
Adesso però doveva rimangiarsi tutto ciò che aveva detto, perché si stava annoiando, e molto. Si voltò verso la sua compagna di banco, alla quale non stava simpatica perché era una delle vittime dei continui rimproveri di Jenny e ogni volta che si sentiva i suoi occhi addosso le lanciava un’occhiataccia e le voltava le spalle per girarsi la compagna che le stava accanto, dietro o davanti, per continuare a chiacchierare e dare più fastidio a Jenny. Quel giorno il trattamento fu lo stesso e Jenny si rattristò di fronte alla freddezza che le era rivolta. Fece un’altra linea sul quaderno e dopo aver aggeggiato un po’ con le mani e le tre matite che aveva mise tutto e si impose di rimanere il più ferma possibile fino alla fine della lezione. Con un movimento quasi impercettibile del polso riuscì a vedere l’ora e notò che erano solo le dodici e ventisette. Rivolse lo sguardo insofferente al libro di inglese aperto sul banco alla pagina ottantadue e rinunciando al suo comando iniziò a sfogliare le pagine alla ricerca di un esercizio che riuscisse ad intrattenerla. Il suo tentativo fu un fallimento e dopo aver letto per la terza volta un racconto lungo quattro righe su un imperatore cinese e le sue tre figlie chiuse il libro e lo spinse il più lontano possibile da sé sul banco senza però farlo cadere. Provava quasi ribrezzo verso tutte le persone nella classe e l’istinto di alzarsi dalla sedia e iniziare a muoversi era quasi impossibile da frenare. La noia era un sentimento complicato che Jenny non conosceva molto bene, cercando di occupare tutti i minuti della sua giornata facendo sempre qualcosa e avendo una fame di sapienza enorme. Ma quando si trovava in situazioni come queste, dove non sapeva come passare il tempo, la noia si trasformava in un prurito nelle sue ossa che non poteva far passare grattandosi o aspettando che andasse via. Quindi si muoveva di qua e di là sulla sedia cercando di trovare una posizione più comoda, si stirava la schiena, allargava le braccia, stendeva le gambe e si scrocchiava le nocchie, insomma sembrava un’anima senza pace. Quando finalmente accettò il fatto che se avesse continuato a muovere la gamba su e giù sarebbe impazzita, alzò la mano e chiese di andare in bagno alla professoressa.
Varcato l’uscio della classe e avendo chiuso la porta dietro se stessa si sentì subito più libera e calma. Vagò un po’ nei corridoi, fece due chiacchiere con il bidello e alcuni suoi amici di classi diverse e andò in bagno a bere un po’ d’acqua. Quando ritornò in classe si sentiva più a suo agio e il prurito che aveva portato la noia con sé all’inizio dell’ora era sparito insieme a lei stessa. Ormai mancavano meno di tre minuti alla fine della lezione e, sapendo che di solito a quell’ora la professoressa aveva già finito di spiegare, rimise le penne nell’astuccio e fece lo zaino. Fece il conto alla rovescia quando vide che mancavano dieci secondi alla fine della scuola e quando la campana suonò, si alzò dalla sedia e si mise addosso il giubbotto nella confusione di voci che erano solite sollevarsi con il rumore della campana. Chiuse gli occhi, si stirò la schiena e abbassandosi prese lo zaino e se lo mise in spalla. Stava per tirare un sospiro di sollievo per la fine della giornata quando una voce disturbò il suo pensiero.
“Jenny? Cosa fai? C’è ginnastica dopo. Le hai portate le scarpe?”

Nicole Lucibello
Classe / Liceo Classico Galileo di Firenze