Lettera a Falcone e a Borsellino

Cari Giovanni e Paolo,

prima di annoiarvi con ragionamenti contorti, volevo ringraziarvi per la vostra presenza nella mia vita e nella vita di ogni giovane, adulto, bambino, vivente negli anni successivi alla vostra morte. Ad oggi non vi è uomo, in Italia, che non conosca la vostra storia.

Andiamo, però, al motivo di questa lettera.

Questa mattina ero seduta sul bordo di un muretto nel cortile interno del mio istituto, durante una pausa, ed ero immersa nei miei pensieri. L’indice destro, per inerzia, scorreva la home di Facebook alla ricerca di qualcosa di interessante. Presa dalla noia, ho staccato tutti i collegamenti con il mondo virtuale e sono rimasta ferma ad osservare ciò che mi circondava. Così mi sono accorta che vi è un murales, in una delle pareti esterne del nostro plesso, rappresentante una vostra fotografia, la più popolare forse, stilizzata in bianco e nero.

Oggi, il peso dei miei diciotto anni, lo sentivo tutto sulle spalle; continuavo a domandarmi se stessi facendo le scelte giuste, dove sarei arrivata se avessi mosso i miei passi verso altre direzioni. Sapete, è difficile condividere questi dubbi, gli adulti li vedono come una fase passeggera e di poca importanza, tra coetanei, invece, non si possono mica esprimere ad alta voce, perché a dirle ad alta voce, le paure prendono forma. Quindi, quando si è in preda a questi pensieri, si ha la necessità di trovare delle risposte nel mondo che ci circonda, nella sua cruda realtà.

La vostra immagine su quel muro ha fatto scattare in me la voglia di conoscenza, così ho aperto internet e, nel giro di pochi secondi, mi sono ritrovata davanti la fotografia originale rappresentata nel murales. E’ incredibile come gli uomini siano riusciti a rendere immortale ciò che di più caduco abbiamo: il tempo.

Paolo, Giovanni, a scuola ci hanno sempre raccontato la vostra storia, ci hanno insegnato a parlarne al singolare, perché è così che si fa quando le strade, i pensieri di due uomini, convergono in un unico ideale. Hanno riempito le nostre menti di numeri, di nomi e cognomi scritti sui registri dei tribunali, ma non hanno mai mostrato, a nessuno di noi, il vero volto della vostra battaglia. Questa foto, questo attimo della vostra vita quotidiana, ha scatenato in me un terremoto; come un forte vento, come quello scirocco che soffia forte sulle nostre coste e che, sono certa, avete amato e maledetto anche voi, come quel vento, dicevo, avete scosso i miei pensieri.

Cari amici miei, perché questo siete diventati nel momento stesso in cui vi hanno imprigionati in quell’attimo immortale, siete voi la risposta ai miei dubbi.

A molti le mie parole sembreranno assurde, ma so che voi comprenderete ciò che voglio esprimere, affermando che il miglior modo per narrare una storia, per farla arrivare a tutti, è mostrare una foto, un frammento di vita.

Gli occhi sono uno strumento molto potente, rendono gli uomini sensibili alla realtà, ci ricordano che, oltre la nostra interiorità, li fuori, esiste un mondo immenso. Ed io di questo me ne sono resa conto solo quando ho aperto le palpebre davanti alla vostra immagine. Voi due, così vicini, con le mani che si poggiano l’una sulla spalla dell’altro, nei vostri completi da uomini “seri”, ma con lo sguardo ed il sorriso di due bambini che si divertono a portare colore nel mondo degli adulti; voi due, in quel momento, avete insegnato al mondo a lottare.

Mi piacerebbe dirvi che la situazione è cambiata, che i bambini come voi hanno portato l’arcobaleno, purtroppo, però, i colori scuri hanno preso il sopravvento. Ora, i protagonisti della nostra storia, ovvero la storia che unisce le strade dei miei coetanei con la mia, indossano giacca e cravatta, per nascondere ciò che hanno dentro.

Giovanni, ci hanno privati della speranza.

Paolo, ci hanno convinti che il sud sta marcendo, che qui non c’è più spazio per i giovani. Hanno estirpato le nostre radici. Devo dirvi la verità, io prima di guardare i vostri volti, di comprendere realmente la vostra storia da quella semplice immagine, stavo preparando le valigie prestando attenzione a non portare con me tutto ciò che mi lega a questa terra.

Gli adulti ci dicono di scappare, ci parlano di realtà ormai totalmente estranee alla nostra e noi quasi ci crediamo che ciò che è andato non tornerà più.

Ma voi, uomini d’onore, nel vero nel senso più bello e vero del termine, non quelli che altri hanno plasmato a loro piacimento, voi siete la forza di ognuno di noi.

Con quel maxi processo, che ancora oggi scava nella coscienze del mondo, con il vostro coraggio, con la vostra voglia di verità, di libertà in questo tempo che tende ad incatenare, oggi mi avete dato la speranza. Oggi ho capito che la vostra vita non è finita con lo scoppio di una bomba, ma continua e continuerà ancora, si intreccerà sempre con la mia strada e con la strada di tutti noi fortunati nati nella “terra del sole”. Volevo, quindi, dirvi che domani partirò, perché ci vuole anche coraggio a lasciare tutto; insegnerò alle persone che incontrerò nel mio tragitto il vero significato della parola famiglia; li farò innamorare del profumo delle zagare e, dopo aver fatto conoscere al mondo la nostra bellezza, tornerò qui, dove sono partita. Si, partirò anche io, ma tornerò affinchè le strade dei giovani possano costruire ancora nuovi scenari.

Porterò con me la vostra foto, magari le rivolgerò qualche domanda lungo il viaggio.

Vi saluto, non attendo una vostra risposta, me l’avete già data.

Con riconoscenza e stima,

Anna Di Franco VAL