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Un’infanzia vissuta all’epoca della liberazione: la testimonianza di Gianni Mazzocato

Di Maria Pozzebon

‘’Dopo vent’anni di regime e dopo cinque di guerra, eravamo ridiventati uomini con un volto solo e un’anima sola .’’

Norberto Bobbio

Gianni Mazzocato, appassionato della storia e del passato del nostro Paese, ci racconta cos’ha significato per lui crescere nel dopo-guerra. Perché ognuno è libero di raccontare le proprie origini, ognuno è libero di parlare del miracolo della libertà.

Dove si trovava all’epoca della Liberazione e com’era la vita in famiglia?
All’epoca mi trovavo con la mia famiglia presso un paesino situato nella parte orientale del lago di Como, Bellano.
I miei genitori avevano già avuto tre figlie , quindi non ero mai solo. Ogni tanto combinavo qualche scappatella: mi è rimasta impressa quella volta in cui dovevo trovarmi con i miei amici, ma a casa mi avevano detto che sarebbe stato meglio andare a letto. Io,però, ero uscito lo stesso e, a causa di un topolino che aveva attraversato la strada, una macchina mi aveva quasi preso sotto:
questo ci ricorda che dobbiamo sempre ascoltare ciò che ci viene detto dai nostri genitori. Inoltre, con papà Ambrogio ogni mattina prendevamo la barchetta e andavamo a pescare nel lago i pescetti da cucinare fritti. Posso dire che lì vivevo una vita bellissima.

Come fu l’atmosfera in città quel 25 aprile 1945?
Ho ben impressa nella memoria la piazzetta del paesino: era come un grande giornale interattivo ed era lì che si venivano a sapere i fatti . In quei giorni era avvenuto l’importante passaggio della Madonna pellegrina, che veniva accolta ogni ann alla sera con le candele e le cuffie di carta. Quell’anno capitò che spararono alla Madonna e colpirono il bambino seduto accanto a lei nel camion.
In queste occasioni straordinarie la piazza era sempre gremita di persone che si animavano e non fu da meno anche quel 25 Aprile, quando si venne a conoscenza della grande notizia: Mussolini era stato catturato e ora il paese si stava colorando di un’atmosfera di festa. Io raccoglievo quello che la gente diceva e gridavo assieme alla folla. Avevo appena tre anni e per fortuna intervenne un ragazzo che si offrì di accompagnarmi a casa per proteggermi e salvarmi dal fiume di partigiani fomentati che venivano giù dalle colline.

Dove ha vissuto la restante parte della sua infanzia?
A sei anni mi sono allontanato da Como e sono andato a vivere nel Collegio situato nella Riviera di Levante, vicino a Genova.
Sono stato quattro lunghi anni lì. La colonia si chiamava ‘Rosita’ ed era una maestosa villa con un parco gigantesco, proprietà di una coppia di anziani. Qui venivano a vivere i bambini ‘’fragili’’ o comunque bambini molto piccoli. Ricordo la prima notte come se fosse ieri: è stata un’esperienza terribile perché tutti piangevano, mentre io provavo a consolare i miei vicini di letto inutilmente. La mattina dopo la sveglia non può essere stata altro che traumatica : una suora ci ha svegliati con una trombetta e ci ha subito ordinato di fare il letto. Poco dopo però i letti erano ritornati disfatti come prima perché l’ordine in Collegio era sacro e bastava un piccolo lembo di lenzuolo piegato male o il cuscino appena fuori dalle coperte a condannarti a rifare il letto interamente una seconda volta. È così che ho imparato a riordinare sempre tutto perfettamente e, se facevo in tempo, davo anche una mano ai miei compagni che erano più piccoli di me.

Com’era il metodo d’insegnamento in Collegio?

Quando si parla di Collegio si pensa subito al duro metodo d’ insegnamento che acquisiscono gli insegnanti per crescere i collegiali. Ciò è assolutamente vero , ma non dobbiamo dimenticare che molto spesso le maestre tiravano fuori il loro lato più umano e ci raccontavano anche che cosa succedesse fuori nel mondo. Ricordo quando la mia insegnante ci raccontò che quel giorno, il 4 maggio 1949, l’aereo che trasportava la squadra di calcio torinese, che aveva appena giocato una partita amichevole col Benfica a Lisbona e stava ritornando a casa, andò fuori quota e si schiantò sul santuario della collina di Superga. Poco dopo costruirono anche un monumento per ricordare tale sciagura e, da quel momento, ogni 4 maggio si celebra la cerimonia di commemorazione delle vittime dell’incidente. La squadra del Torino all’epoca era prima in classifica e il campionato quell’anno fu dedicato alla sua memoria.

Come ha proseguito la sua istruzione fuori dal Collegio?
Finita la quarta elementare, sono poi andato a vivere in un piccolo paesino nel comune di Montebelluna, San Gaetano. Ho iniziato quindi a frequentare lì l’ultimo anno delle elementari e mi sono reso conto di quanto fosse valida la scuola pubblica. Nonostante fosse divertente imparare, a scuola bisognava mantenere un atteggiamento estremamente serio : come in Collegio, sia noi maschi che le femmine eravamo tenuti ad indossare le tipiche divise nere a giubbino. Inoltre, la classe era piuttosto eterogenea e non tutti avevamo la stessa età, ma c’erano alcuni studenti che erano anche cinque anni più grandi di me.

Com’era la sua giornata tipica di studio e quanto influiva la situazione politica e sociale dell’epoca su essa?
Ovviamente a casa c’era anche bisogno di lavorare e quindi la notte era l’unico momento in cui si potesse studiare e approfondire quanto s’era fatto al pomeriggio a lezione. Infatti lavoravo dall’alba fino a mezzogiorno, ora in cui prendevo il treno che mi portava a scuola. Tornavo a casa verso le nove di sera e non mi restava altro che ritornare sui libri fino alle prime ore del mattino. Inoltre, a volte mi trovavo obbligato a studiare anche in sala d’aspetto in stazione. A scuola fortunatamente c’era la possibilità di ricevere le borse di studio che mi spronarono a studiare ancora di più nel corso degli anni e grazie alle quali ricevetti le mie prime grandi soddisfazioni. A proposito di questo, ricordo Guido Bergamo, un medico nonchè capitano degli Alpini e uno dei fondatori
del partito repubblicano. Al tempo del fascismo lui e suo fratello erano esuli in Francia e ,quando tornarono, la famiglia per ricordarli istituì una borsa di studio per universitari. La stessa borsa di studio mi fu proposta quando andai all’Università dai miei vicini di casa dell’eepoca, ma, essendo loro comunisti, la loro richiesta non fu nemmeno presa in considerazione.

Qual è stata una delle più grandi lezioni che ha appreso in questi primi anni di vita?
È capitata proprio nel periodo in cui ero al Collegio. La villa aveva un bel parco con aranci, mandarini e cachi. Durante l’inverno mangiavamo la frutta che veniva raccolta e disposta nel solaio. Il primo Natale che passai da collegiale mi aspettavo di trovare per colazione un frutto differente rispetto al solito caco che mangiavo ogni mattina. Ma quel giorno la tavola fu riempita con due ceste di cachi. Perciò io e i miei coetanei corremmo arrabbiati in giardino per lanciare i frutti contro la rete che separava la strada dalla villa. È stato quello il momento in cui mi sono reso conto che fuori ci fosse gente che stava peggio di noi : infatti, non appena lanciammo la frutta al di là della rete, alcuni bambini in preda alla fame la presero al volo e se ne cibarono. Quelli che erano i nostri scarti erano improvvisamente diventati la prima vera colazione di quei poveri bambini. Ecco la mia grande lezione di vita: essermi potuto rendere conto della mia piccola fortuna.