Nando Sessa, l’immortalità del teatro

di Riccardo Olivieri 1B

La chiusura dei teatri a causa della pandemia ed il loro valore nella società, il punto di vista di Nando Sessa, regista di alcuni grandi interpreti del teatro tra cui Renato de Carmine, Michele Placido, Edoardo Siravo, Katia Ricciarelli, Gianfranco D’Angelo e direttore artistico della Muse Art Produzioni.

Quando è iniziata la crisi del teatro?

Abbiamo avuto una crisi del teatro un ventennio dopo il secondo conflitto, non per una questione di cambio generazionale ma per una sorta di neorivoluzione che ha portato le popolazioni mondiali a vivere il teatro attraverso corridoi molto veloci, quelli dell’ aver poco tempo per se stessi e per la propria crescita culturale. La crisi esisteva già prima della pandemia. “

 Cosa comporta la chiusura dei teatri?

La chiusura definitiva dei teatri comporterebbe una catastrofe, tutto in qualche modo passa, ma il teatro non morirà mai. Più volte ci sono stati dei rallentamenti, ma il teatro non è mai morto”

Che valore hanno i teatri in una comunità?

Il valore e lo scopo che i teatri hanno fin dal tempo dei Greci non è certo quello dello svago, il teatro è stato ed è una forma di comunicazione, di aggregazione, di scambio culturale, racconta storie del momento e non, ed è un metodo di conservazione dei valori culturali umani e sociali. Se i teatri non avessero un’utilità fondamentale non li avremmo ereditati per così tanto tempo, sono immortali. “

Come è stata gestita la pandemia nei teatri?

Non ci sono responsabili, solo vittime, poiché nessuno poteva sapere cosa fare in questa inaspettata situazione. Il paese è stato generoso verso i grandi teatri nazionali, non ha fatto altrettanto per i piccoli teatri e le produzioni private. Purtroppo si è guardato solo verso gli uomini di teatro ma non verso il pubblico.”

Qual è la differenza tra lo spettacolo dal vivo e quello a distanza, tramite TV, internet?

La differenza è incommensurabile. Manca l’emozione tra l’attore che recita ed il pubblico che è immedesimato nel buon scritto di un autore costruito dalla composizione delle scene. Inoltre la televisione degli ultimi anni non ha saputo leggere bene il teatro tramite i potenti mezzi della ripresa audiovisiva perché ha cercato di mettere più a nudo la volontà testuale dei registi tradendola e non traducendola; ha accelerato il processo di distanziamento tra chi emoziona e chi deve emozionarsi.  Forse la mia è un idea troppo tradizionale, però in passato molti grandi sono riusciti a trasmettere le emozioni del teatro in televisione con la semplicità, non capisco perché oggi non ci si riesca.”