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Isole Midway – La battaglia che stravolse le sorti della Seconda Guerra Mondiale

Tutti quanti conosciamo la lunghissima e sanguinosa battaglia di Stalingrado, combattuta a partire dal 17 luglio 1942 opponendo i soldati dell’esercito nazista e i suoi alleati all’armata rossa, e terminata il 2 febbraio 1943 con la vittoria di quest’ultima, causando in tutto circa 1 milione e mezzo tra morti e dispersi. La ricordiamo in quanto questa battaglia segnò la prima grande sconfitta politico-militare della Germania nazista sul fronte orientale, nonché l’inizio dell’avanzata sovietica verso ovest che sarebbe terminata due anni dopo con la vittoria della battaglia di Berlino e il suicidio di Hitler, terminando così la guerra.

Ben meno nota è dall’altra parte del mondo, nello scenario dell’oceano Pacifico, la battaglia delle isole Midway, combattuta tra il 4 e il 6 giugno tra le forze imperiali giapponesi e gli Stati uniti d’America. In questo articolo narreremo questa spettacolare battaglia, andando a capire come ci si arrivò, il motivo per cui cambiò le sorti della guerra e il perché vale così tanto la pena ricordarla. Tuttavia, prima di parlarne, è necessario calarsi nel contesto dello scenario Pacifico della guerra: il Giappone era agli inizi del 1900 ancora uno stato feudale basato sull’agricoltura; uscito contro ogni pronostico vittorioso dalla guerra russo-giapponese (1904-1905), e poco dopo avendo dato un contributo alla sconfitta della Germania nella prima guerra mondiale, si era affermato come potenza a livello globale. Per questo motivo, fu invitato alla conferenza di pace di Versailles, nel 1919, dove avanzò una serie di richieste che furono tuttavia respinte a gran voce, uscendo umiliato dal “tavolo dei vincitori”. Questo forte risentimento verso le altre grandi potenze mondiali dell’Intesa e i suoi alleati (Inghilterra, Francia, Italia e Stati uniti), e la profonda crisi, dovuta alla “grande depressione”, che attraversò il paese per tutto il decennio successivo, portò all’ascesa del politico e generale di estrema destra Hideki Tojo, che avviò, analogamente a Italia e Germania, il cosiddetto “fascismo giapponese”, un governo autoritario che puntava alla sua assoluta affermazione in tutto il Pacifico. Il Giappone, a partire da un’isola e qualche infimo arcipelago, voleva creare un gigantesco impero, ma doveva fare i conti con un insormontabile problema di fondo, ovvero la mancanza di materie prime che muovessero l’industria bellica stessa e garantissero un’indipendenza economica dagli Stati Uniti. Per questo motivo il primo obiettivo strategico fu la regione cinese della Manciuria, nota per la sua particolare ricchezza di giacimenti sia di ferro sia di carbone e, creato un grande esercito, invase il 7 luglio 1937 la Cina, occupandone vaste aree nel giro dei mesi successivi. Altra premessa da fare è che la situazione geo-politica mondiale nel 1940 era molto diversa da quella attuale, e la maggior parte degli attuali stati tra l’India e l’arcipelago indonesiano erano ancora a tutti gli effetti colonie europee. Lo scoppio della seconda guerra mondiale e la rapidissima conquista da parte di Hitler della totalità dell’Europa occidentale fornì al Giappone l’occasione perfetta per consolidare una volta per tutte il proprio potere in quanto, cadute nel giro di pochissimi mesi Francia e Olanda, e con l’Inghilterra sull’orlo della sconfitta, tutte quelle colonie si ritrovarono in una situazione di estrema confusione sul piano amministrativo, politico ed economico, che garantì all’Impero la rapida conquista di immensi territori e l’accesso ai ricchissimi giacimenti di petrolio in Indonesia. Rimasta un’unica grande minaccia al loro dominio, gli Stati Uniti, i giapponesi optarono per una soluzione offensiva molto meschina su un piano etico, ma estremamente efficace su un piano pratico, ovvero un massiccio attacco a sorpresa che mettesse in ginocchio con una sola mossa l’intera flotta americana. Fu così che all’alba del 7 dicembre 1941 i giapponesi attaccarono Pearl Harbour, distruggendo gran parte della flotta esattamente come pianificato. Quando l’ammiraglio Nimitz fu messo a comando di ciò che restava della flotta del Pacifico, si trovò davanti una situazione molto sfavorevole: a discapito di quanto si può pensare, gli Stati uniti possedevano solamente il diciassettesimo esercito al mondo, in quanto il presidente Roosevelt era stato eletto proprio per la sua promessa di restare neutrali in caso di conflitto; era una nazione totalmente impreparata a una guerra, con una flotta distrutta, un’aereonautica che aveva subito altrettante perdite e un morale bassissimo, che si ritrovava a fronteggiare un potentissimo esercito di valorosi veterani da varie battaglie, al seguito di una marina all’avanguardia e che proseguiva un’inarrestabile avanzata su territori a proprio piacimento. I giapponesi hanno dunque iniziato il conflitto vincendo subito una battaglia che aveva inferto gravi perdite all’America, ma non sufficienti da terminare la guerra; tra le fila dell’alto comando spicca l’ambizioso ammiraglio Yamamoto, strenuo promotore di un secondo attacco che distrugga una volta per tutte la flotta Americana dell’ammiraglio Nimitz che possedeva solo quattro navi effettive, ovvero le portaerei Lexington, Hornet, Enterprise e Yorktown, con le quali dover fronteggiare un successivo attacco potenzialmente in ogni pezzo di terra nel Pacifico. L’obiettivo giapponese è proprio l’atollo delle Midway, particolarmente strategico in quanto da una parte è uno dei principali avamposti americani, dotato di grandi piste d’atterraggio nonché maggior centro di rifornimento dell’area, dall’altra garantisce ai bombardieri le porte spalancate per eventuali sortite in tutta la costa ovest d’America. In realtà, l’attacco è una trappola: i giapponesi invieranno con una piccola flotta che si limiti a spianare la strada a un invasione via terra, così da costringere il nemico a far uscire allo scoperto le portaerei sopra menzionate ancorate a Pearl Harbour in difesa dell’atollo, e a quel punto l’intera flotta con una sofisticata manovra di accerchiamento, con una metà guidata da Yamamoto in persona e l’altra dal vice-ammiraglio Nagumo, fedelissimo e diligente generale tuttavia eccessivamente legato ai sistemi tradizionali per saper sfruttare il potenziale delle portaerei e prendere iniziative autonome necessarie per una tale operazione, accerchierà le navi da guerra americane, distruggendole. Questo massiccio attacco richiede circa sei mesi di preparazione, durante i quali la sua segretezza viene seriamente messa a rischio dal team di crittografi delle Hawaii “Hypo”, che lavorano giorno e notte per cercare di decifrare i complicatissimi messaggi in codice nemici. Proprio a ridosso di maggio, dalle intercettazioni delle comunicazioni giapponesi emerge che viene menzionato con molta frequenza l’allestimento di un attacco ad “AF”. Sarà proprio l’intuizione del capo della squadra, l’eccentrico capitano Joseph Rochefort, a ricordarsi che a marzo caccia Imperiali in ricognizione presso le Midway inviarono alla base delle comunicazioni di star sorvolando sopra “AF”; avanzò la propria teoria ai gradi superiori a Washington, venendo ignorato. Ma Rochefort non si scoraggiò e contattò tramite un canale secondario direttamente l’ammiraglio Nimitz, esponendo nuovamente la propria tesi. L’ammiraglio diede ascolto, ma ovviamente in caso si sbagliasse esponeva la flotta a un rischio troppo alto: serviva la certezza assoluta che si trattasse proprio delle Midway. Così, i crittografi escogitarono un trucco via radio: mandarono dall’atollo un falso messaggio di emergenza dicendo che il sistema idrico è rotto. Un’ora dopo, viene intercettato un messaggio giapponese in cui si dice che “AF è a corto d’acqua”. Senza più ombra di dubbio, gli americani elaborano una contro-offensiva. All’alba del 4 giugno la flotta del vice-ammiraglio Nagumo bombarda le Midway, facendo danni pari a quelli inflitti a Pearl Harbour; però, i caccia si accorgono di una cosa: non vi sono aerei sull’isola. Mezz’ora dopo, molti bombardieri B-17, mai provati in un attacco navale, sorvolano sulla flotta giapponese, fallendo miseramente l’assalto in quanto, sganciando le bombe da circa 6000 metri di altitudine, le navi nemiche hanno il tempo di virare bruscamente, schivandole. A quel punto, i grandi e lenti bombardieri divennero un bersaglio facile per i temibili e ben manovrabili caccia “Zero”, che ne abbattono a dozzine. Respinto l’attacco, Nagumo decide di proseguire il piano e terminare la conquista dell’atollo; ma vi è un problema: gli aerei disponibili sono tutti armati di siluri per attaccare le navi. Di conseguenza, confidente del fatto che il nemico impiegherà almeno tre giorni per un secondo attacco, ordina di passare alle armi di terra, operazione che richiederà due ore in cui gli aerei saranno inutilizzabili. Ma, poco meno di trenta minuti dopo, arriva al ponte di comando un messaggio proveniente da un aereo di ricognizione che ha individuato molte navi americane vicino le Midway, il che costringe Nagumo a dare il contro-ordine di interrompere il processo e passare nuovamente alle armi navali. Ciò è un dettaglio importante da sottolineare, poiché visto il caos che naturalmente si andò a creare, nell’estrema fretta il riarmo avvenne in maniera brusca e rocambolesca, lasciando a terra munizioni, carburante e molto altro che rese gli hangar vere e proprie polveriere. Mentre ciò avviene, un secondo attacco americano viene sferrato, ma anche in questo caso risultò un totale fallimento: si vide qui la gran differenza di preparazione tra le due fazioni, in quanto a differenza del nemico, gli americani non riescono a coordinare attacchi da più ponti di volo in modo efficace, e il risultato è che ci sono in cielo varie squadriglie di bombardieri sparse e non supportate da caccia che anche in tal caso risultano prede degli Zero (ritorneranno alle portaerei solo quattro veicoli), sprecando inoltre l’effetto sorpresa. L’ultima speranza della flotta americana è un’intera squadriglia di bombardieri, i quali sono però persi nel cielo, inviati nella direzione sbagliata e irrimediabilmente a corto di carburante. Ma qui, un incredibile e fortunato colpo di scena che cambierà la storia: alla deriva, il capo di uno squadrone di bombardieri disperso nota qualcosa di insolito all’orizzonte, ovvero un arcobaleno gigante; si tratta di uno spettro di colore proveniente dal getto d’acqua di un cacciatorpediniere giapponese, l’Arashi, totalmente solo. Il comandante McClusky, nonostante il livello di carburante pressoché finito, decide di fare un ultimo disperato tentativo seguendo la nave; dieci minuti dopo, avvenne il miracolo: il comandante stesso raccontò che entrarono in una fitta nuvola e, una volta usciti, si ritrovarono dinnanzi l’intera flotta giapponese, portaerei comprese. E qui, ancora più incredibilmente, un secondo squadrone di bombardieri alla deriva vide la flotta nello stesso istante: per pura fortuna, si crea una situazione perfetta, poiché quattro diversi squadroni di aerei attaccano indisturbati da direzioni opposte e ad altitudini diverse, con tutti i caccia nemici impegnati a inseguire ciò che resta del precedente attacco fallito. Alle 10:25 di mattina i giapponesi stavano riportando una facile vittoria; alle 10:30 avevano perso 3 portaerei: la Kaga, la Soryu e la nave ammiraglia, la Akagy, che a dimostrazione di quanto la superficie fosse una polveriera, fu abbattuta con una sola bomba, e a distanza di altri dieci minuti venne affondata anche l’ultima portaerei, la Hyriu, della quale i caccia erano poco prima decollati per un attacco kamikaze che abbatterà la Yorktown americana. Questa vittoria ha un valore tanto strategico quanto morale, in quanto gli americani, che da dicembre 1941 a maggio 1942 avevano ricevuto solo brutte notizie, cavalcando l’onda dell’euforia per la vittoria dimostreranno il loro immenso potenziale bellico, arrivando a produrre nel 1943 una nuova portaerei all’avanguardia al mese, per un totale complessivo di 90, circa 10300 aerei e l’esercito più potente al mondo che tutt’ora detiene il primato. Questa battaglia cambiò le sorti della guerra in quanto il presidente Roosevelt, non più legato al vincolo della neutralità, potrà contribuire direttamente anche alla sconfitta della Germania nazista: contro i pronostici iniziali, gli inglesi vinsero la battaglia d’Inghilterra contro la tedesca Luftwaffe, la più grande aereonautica dell’epoca. Il 2 giugno 1944 americani e inglesi sbarcheranno in Normandia, aprendo un secondo fronte occidentale (l’altro è quello orientale dell’armata rossa a partire dalla vittoria a Stalingrado) e tre anni dopo Germania e Giappone dichiareranno la resa.

Flavio Mastrantoni 4Dcl