‘Freeing the voice’ di Marina Abramovic

La Serba Marina Abramovic ,nata nel 1946, è diventata  la più celebre artista di “performance art, grazie al suo stile innovativo, libero e decisamente pericoloso in alcuni casi.

Durante le sue esibizioni, la Abramovic, cerca di comprendere al meglio il rapporto tra pubblico e artista, istigando una reazione da parte del pubblico, che diventa l’esecuzione stessa.

La performance che mi ha attratto di più e che voglio analizzare si chiama ‘Freeing of the voice’ (Liberazione della voce) alla quale precedono ‘Freeing the body’ e ‘Freeing the memory’; queste tre sono state ideate insieme, infatti lo scopo è il medesimo in ognuna, ossia di purificare una parte della natura umana, come la voce.

Devo ammettere che dopo aver visto i primi 10 minuti della performance (la durata reale è di 45 minuti)  sono rimasto con molti  interrogativi relativi al messaggio che l’artista voleva trasmettere, dato che non ci sono né parole né movimenti, soltanto gli strilli di una donna sdraiata con intonazioni dettate da sensazioni  profonde.  Infatti da come viene messa in scena la performance io credo che l’artista rievochi dei momenti brutti che ha già vissuto e che ipotizzi ciò che non ha ancora vissuto (la morte).

Ho provato a  immaginarmi  in mezzo al pubblico per interpretare diversamente ciò che avevo solo visto.

Quindi ho fatto ripartire il video e, osservando le espressioni dell’Abramovic, mi sono lasciato trasportare dal suono della voce, che, se ci si fa caso, è atono ma non risulta  monotono  poiché  la voce è usata come un vero e proprio strumento che ella ha utilizzato per esprimere un miscuglio di sensazioni tutt’altro che positive.

Dal titolo viene presentata come la liberazione della voce, che potrebbe far presupporre si tratti di una tecnica canora, invece è una liberazione della voce ma soprattutto  uno sfogo enfatico ed è stata proprio quest’interpretazione che ha dato l’Abramovic ad attrarmi verso l’opera. 

A farmi piacere la performance è stato proprio il rapporto artista-pubblico, perché essendo un opera a libera interpretazione, ho preferito concentrarmi sulle reazioni che potrebbe causare in generale e soprattutto su quelle causate a chi assisteva dal vivo.

Personalmente all’inizio ho provato una grande ansia ascoltando le urla, perché sembravano urla strazianti di dolore, le quali avrebbero convinto qualsiasi passante ad aiutare la donna dolorante.

Più va avanti il tempo e più le sue grida diventano differenti ,mentre prima erano tutte simili tra loro, e quindi, secondo me solo circa a metà dell’opera ci si rende conto che tutte le sensazioni di confusione, causata dal non comprendere a pieno ciò che accade, di rabbia, tristezza ecc.. devono essere dominate e purificate.

Se si prova ad assistere a questa performance mettendo da parte le emozioni e i lati sensibili dell’uomo, si avrà un esperienza totalmente diversa che induce verso una calma trascendente che porta il corpo umano ad uno stato di incoscienza; stesso risultato ottenuto da ‘Freeing the body’ in cui l’artista balla ininterrottamente finché non cade esausta e ‘Freeing the memory’ in cui l’obiettivo e svuotare la memoria dicendo tutti i vocaboli conosciuti in tutte le lingue conosciute.

Quindi dopo molte analisi ho capito che apprezzo molto la performance art di Marina Abramovic, la cui arte non è comprensibile da subito e comunque mai al 100%.

È una donna che sa stupire e che  che riserva un ruolo fondamentale al pubblico, ossia di dare l’interpretazione e il senso che si vuole alla sua opera, che per essere capita al meglio richiede un atteggiamento privo di sensazioni effimere, le quali distolgono dall’obiettivo principale. 

Anche per questo credo che l’artista serba faccia delle performance così lunghe, per dare il tempo allo spettatore di farsi qualche domanda e realizzare bene cosa si ha davanti.

Ed è proprio questa caratteristica  che mi ha confuso, ossia non aver capito che davanti a me non avevo solo ciò che vedevo.

Alessio Dall’Oglio 4C cl