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“Panta rei”, accettare il cambiamento e avere un punto di riferimento per imparare a crescere

«L’educazione dei figli è certamente il campo in cui è più difficile accettare l’irriducibile  discontinuità tra i nostri atti e il risultato. Il divenire di mio figlio non sarà identico se non  svolgo il mio lavoro di genitore, ma la mia presenza al suo fianco non è tuttavia sufficiente per  farmi prevedere un risultato. L’educazione resta un puro divenire. Non esiste un’educazione  verso qualcosa.». L’affermazione del filosofo e psicoanalista Miguel Benasayag che porta ad un’accurata riflessione  sul concetto di divenire. Il primo ad introdurre questo concetto, fu Eraclito, definito il “filosofo del divenire”. Egli era convinto che la caratteristica comune a  tutto l’esistente fosse il mutamento continuo. Ognuno di noi un attimo prima è diverso dall’attimo dopo. Per far comprendere questo concetto, usa spesso la metafora del fiume: non ci si bagna  mai due volte nella stessa acqua, perché essa é in perenne movimento, allo stesso modo, la vita è  mutamento, nulla rimane identico. In seguito a questa teoria, in campo filosofico, ci  sono stati molti dibattiti su quello che è il divenire dell’essere, ma non divaghiamo. L’educazione  di un figlio è ovviamente un qualcosa di molto complesso, ognuno ha un suo metodo basato  magari sulla propria esperienza, tuttavia il risultato di questa educazione non sarà mai del tutto  prevedibile. Ogni essere umano è in continua evoluzione, tutto nel nostro mondo è in continua  evoluzione, però, non possiamo prevederla o “imporla”, non possiamo decidere come  evolvere; proprio per questo un figlio può essere indirizzato attraverso un’educazione, ma questo  non significa sapere come evolverà.

La crescita di un ragazzo non dipende solo dall’ educazione  dei genitori, ma da tanti fattori; la scuola ha sicuramente un grande impatto, ma è sicuramente il  contatto con gli altri che ci permette di crescere, ed è il periodo dell’adolescenza in cui ci si  affaccia veramente al mondo esterno che ci permette davvero di maturare. Parlando da ragazzo  adolescente, questo è davvero un periodo difficile; si è in qualche modo ancora ancorati al  passato e si vuole rimanere “protetti dai propri genitori”, si vuole restare bambini perché si ha  paura del futuro che è incerto e imprevedibile, sopratutto si ha paura di crescere, e si ha paura di  vivere, di commettere errori, di sprecare il tempo, sprecare quelli che vengono definiti gli anni più  belli della nostra vita. Per Dante il periodo in cui ci “si perde nella selva oscura” è più o meno a metà della  nostra vita, ma credo che è proprio l’adolescenza il periodo più buio e in cui ci si sente più persi.  Ho ricevuto dai miei genitori una buona educazione e ho vissuto una bellissima infanzia, sono  grato loro per questo, mi hanno sempre lasciato molto libero ed è forse proprio quella libertà che  mi spaventa, sicuramente avere un genitore che ti limita e ti dice cosa fare passo per passo è  rassicurante, non devi compiere scelte ma non credo sia il giusto metodo per crescere e  maturare. Nella mia esperienza personale credo di aver avuto l’educazione migliore possibile,  tuttavia la libertà di fare esperienze ed errori mi ha spaventato, mi sono bloccato e non sono stato  in grado di fare un passo in avanti che magari mi avrebbe permesso di maturare, in qualche modo  mi sono auto limitato e un po’ chiuso in me stesso. Forse, mi sono mostrato un po’  vigliacco; sono scappato dalle mie responsabilità e mi sono rifiutato di crescere. Credo che anche il periodo di quarantena ha contribuito allo sviluppo di questo modo di fare, forse anche la mancanza di autostima e la mia grande insicurezza non mi hanno permesso  di andare avanti. Durante questo periodo, però, viene richiesto ai ragazzi di crescere, perché in  qualche modo si è costretti a farlo, non si può rimanere sempre bambini legati ai propri genitori, bisogna diventare indipendenti, trovare un lavoro e soprattutto bisogna imparare a badare a se  stessi. Arriverà un giorno in cui saremo noi a dover guidare le nuove generazioni. Ogni ragazzo della mia età, credo abbia provato almeno una volta le mie stesse paure, certo  ognuno le affronta in maniera diversa. Tuttavia, ci sono persone che non reggono i propri timori e credo sia  normale, ma quando succede di perdersi non si dovrebbe aver paura di parlarne con un’altra  persona, magari un adulto, un genitore, un insegnante. Anche Dante quando si perde viene  aiutato dal suo maestro, Virgilio, a ritrovare la giusta strada, chiedere aiuto non è da deboli, al  contrario, ci vuole coraggio. Gli adulti dovrebbero essere un riferimento, persone che hanno  vissuto le tue stesse esperienze e le tue stesse paure. Bisogna rispettare le persone più grandi di  noi e apprendere quanto più possiamo da loro. Ecco secondo me il ruolo di un genitore dovrebbe  proprio essere questo, dovrebbe essere un riferimento. Durante l’infanzia un genitore deve dare  un’ educazione ai propri figli proprio per dargli i mezzi per crescere, insegnargli a stare in una  società, ma quando arriva il momento di crescere dovrebbe rimanere vicino solo come  riferimento. Secondo me, un figlio deve essere indirizzato e guidato ma di sicuro non gli si dovrebbe impostare una vita, dovrebbe essere lasciato libero di fare i propri sbagli e le proprie  esperienze. Un genitore non può prevedere in che modo o quando un figlio maturerà ma  dovrebbe essergli sempre vicino e intervenire solo quando necessario, rimanendo sempre una  figura di riferimento a cui rivolgersi nei momenti di difficoltà. 

Marco Vassallo, III C