LETIZIA BATTAGLIA SIAMO NOI

Una donna, un’icona, una grande femminista e attivista: a Genova rappresentata dalle sue fotografie 

Di Ottaviana Masia, 5D

Il 23 ottobre scorso il Liceo Classico Andrea D’Oria ha portato i suoi studenti a visitare la mostra “Letizia Battaglia sono io”, allestita a Palazzo Ducale. La visita era stata precedentemente introdotta dal curatore, Paolo Falcone. Questa iniziativa si inserisce nell’impegno che la scuola ha intrapreso per avvicinare gli studenti a coloro che hanno saputo affrontare temi di attualità in chiave artistica. E quale forma di espressione può essere più adatta a realizzare questo connubio se non la fotografia? Questa tecnica, che nasce nell’Ottocento, si affianca da subito al giornalismo, ma si sviluppa anche come forma artistica indipendente. E spesso descrive iconicamente i temi di attualità, anche i più scottanti: si pensi ai reportage dalle zone di guerra, o dai Paesi più poveri della Terra.

Non molti (ancora) i fotografi donna, e ci ha molto colpito che invece questa mostra fosse incentrata sul lavoro di una persona che nella vita, proprio in quanto donna, ha dovuto affrontare grandi difficoltà, sia personali che professionali. Letizia nasce a Palermo nel 1935, in una famiglia ancora patriarcale. A soli 16 anni scappa di casa e si sposa, nella speranza di affrancarsi da una realtà troppo pressante e che la condiziona. In realtà il matrimonio si rivela solo come il passaggio da una realtà famigliare patriarcale ad un’altra. Dal punto di vista professionale, la Battaglia è stata una delle prime donne fotografe a lavorare in Italia per un grande giornale: facile immaginare quanti pregiudizi avrà incontrato nella sua carriera, unica donna in un mondo di uomini.

Carriera di Letizia

Inizia come giornalista de “L’Ora” di Palermo, negli anni Settanta del secolo scorso. È proprio su quel quotidiano che si comincia a parlare di mafia non più come semplice espressione della criminalità locale, ma come fenomeno ben più complesso ed esteso, contiguo al potere politico ed economico della Sicilia, in grado di condizionarne la classe dirigente, e perfino di estendere il suo influsso alle stanze romane.

“Qui è stato assassinato dalla mafia Giuseppe Impastato giovane giornalista e militante comunista. Cinisi,1978”

  Durante uno dei suoi servizi, Letizia incontra una prostituta          coinvolta in un caso di omicidio: al termine dell’intervista le fa      un paio di scatti fotografici, e uno di questi viene pubblicato.        Nasce così il suo desiderio di esprimersi attraverso la             fotografia. Dapprima a Milano, come corrispondente al Nord de   “L’Ora”,   poi di nuovo a Palermo, alla fine degli anni Settanta,     quando sta   per cominciare la guerra di mafia con la quale i       Corleonesi   attaccheranno le vecchie cosche cittadine per   assumere il   controllo dell’”Onorata società”.

 

Mafia

“Mafia: omicidio di Cesare Terranova. Palermo”

Famosissima la   sua  foto del   cadavere del giudice Terranova, uno dei primi magistrati uccisi, perché aveva capito che, se si voleva davvero combattere la mafia, bisognava colpirne le attività economiche.

L’anno scorso abbiamo affrontato la lettura di “Solo è il coraggio”, romanzo con il quale Roberto Saviano onora la memoria di Giovanni Falcone, e dei tanti altri giudici – come Terranova – che hanno combattuto la mafia a costo della vita. E le foto della Battaglia ci hanno riportato a questi temi, completando con le immagini quanto avevamo appreso dai testi.

E ci hanno permesso di comprendere quanto sia importante, nel giornalismo, la sinergia fra la parola scritta e l’immagine, tanto più quando quest’ultima – come nel caso della Battaglia – può davvero essere considerata un’opera artistica.

Arte che nel suo caso non deriva dal formalismo fotografico, ma piuttosto dal suo modo di porsi nei confronti di ciò che fotografa. La Battaglia non ha seguito alcuna scuola di fotografia, non ha imparato dai grandi maestri, ma ha un suo stile personale. Scatta le sue immagini con un grandangolo, ponendosi quindi ogni volta al centro della scena, vicino all’oggetto che vuole ritrarre, rendendolo soggetto: che sia mafioso, persona per bene, bambino, per lei tutti hanno la loro dignità, nessuno può violarla anche se hanno commesso le peggiori efferatezze. E le sue foto diventano strumento, lotta, denuncia, perché in esse non è la tecnica che domina, ma la pietas.

L’amore di Letizia per le donne

Visitando la mostra ci siamo accorti che a Battaglia non è solo “la fotografa della mafia”. Applica il suo stile alle tante situazioni in cui sono conculcati i diritti civili, in cui le minoranze sono discriminate. E spesso i suoi soggetti sono donne o bambine:

“Amo fotografare le donne perché sono solidale: devono ancora superare tanti ostacoli verso la felicità, in questa società maschilista che le vuole eternamente giovani, belle, con una concezione dell’amore che spesso, in realtà, è solo possesso. E cerco gli occhi profondi e sognanti delle bambine […]”.

Immagini di vittime della mafia, immagini di mafiosi, immagini di bambine dei quartieri poveri, immagini di donne vittime della violenza: tutte loro hanno prodotto in noi una grande impressione, che non dimenticheremo: per questo possiamo dire che, ormai, Letizia Battaglia siamo tutti noi.