Chi si nasconde dentro il cilindro?

Ecco il racconto di Daniele Gaeta, alunno della classe III QL del Liceo Scientifico delle Scienze Applicate Quadriennale, del II Istituto di Istruzione Superiore “A. Ruiz” di Augusta. Si tratta di un’ironica narrazione allegorica sul passaggio dall’infanzia all’adolescenza e sulle preoccupazioni che talvolta può comportare.

Ieri è venuto a trovarmi un amico. Ha sempre l’abitudine di sopraggiungere solo la sera e mai una volta sgarra il nostro fatidico incontro. Al calar del Sole, arrivando stremato, dimentico puntualmente l’uscio aperto, spalancato come il portone della villa del Signor Pensieri. Quest’amico serale gradisce la mia mancanza, perché è di natura abbastanza solitaria, più silenziosa dei passi di un felino. Solo recentemente lui abita le mura della mia casa quotidianamente e vi dirò il motivo: ricordate quanto ho detto prima riguardo alla mia sbadataggine? Tempo fa non era così. Le mie mansioni al lavoro erano sempre ben ridotte, presso il negozio gestito dalla Signora Infanzia. Di punto in bianco la svolta: la Signora mi licenziò in maniera turbolenta, quasi a non volermi vedere più e ripeto, tutto da un giorno all’altro. Lei mi fece da tramite per un cert’uomo di nome Adolescenza, che mi spedì come servo a villa Pensieri. Che strana la vita, prima sembra andare tutto bene e poi cadono i primi frammenti di intonaco. Solo con il padrone Pensieri arrivo a casa incapace di distinguere un cane da un gatto. A pensarci, credo che sia proprio il Signor Pensieri ad inviarmi il compagno dei miei tramonti a casa, giusto per lavorare un altro po’ per lui. Tornando al mio ospite, la sua figura non dà mai segni della sua presenza, se non quando si catapulta (sempre di soppiatto, con un’arte propria solo di sé stesso), davanti ai miei occhi, già sostenuti dalla morbidezza del mio letto. Abito grigio mai scomposto, che dà segno di essere imperturbabile al mondo; cravatta stretta fino al collo, quasi fino a soffocare; bastone di legno, perché il mio amico è da sempre claudicante; cilindro sul capo, il quale lascia scoperto solo un abbozzo della bocca, rilassata, inerme. Ebbene sì, pur essendo più che conoscenti, io non ho mai ricevuto la grazia di ammirare il volto del mio apparente Salvatore. Sono ancora indeciso sul ritenere Salvatore solamente come suo secondo nome o come suo effettivo attributo. Quando giunge a casa mia chiude la porta silenziosamente, ma, nonostante ciò, raffiche di vento entrano in camera. Quando il piede sinistro e il suo bastone raggiungono la soglia della porta di fronte al mio letto, con la sua flemma mi saluta dicendo: “Buonasera, mio caro”. Certe volte il saluto viene ricambiato, ma nel più dei casi la stanchezza è tale da farmi saltare i convenevoli. Gentilmente non se ne cura, e spostandosi con il suo incedere quasi saltellante dalla porta alla poltrona, raccoglie giacca e cappello lasciati incustoditi da me per l’eccessiva stanchezza per posizionarli sull’appendiabiti. Seguono minuti di silenzio perentorio, anzi, di monologo: il mio amico è un grande multitasking. Non pensiate che lui si sieda a parlare con i riflettori puntati su di lui. I riflettori li ha comunque addosso, ma il suo primo obiettivo è rassettarmi la camera. Apre la finestra per far entrare aria nuova, pur morendo di freddo, perché “in questa casa si respira vecchio”; si arma di scopa e paletta e scava negli anfratti più sconosciuti del pianeta; sopra gli armadi nulla gli sfugge, dunque prende la scala e come un tergicristallo sgombra il legno dalla polvere; sbatte la stoffa dalle sedie; cambia le coperte con me sopra, indisturbato; avvita le lampadine nuove al lampadario; rinnova i tappeti e forse si può ritenere libero dopo aver scaraventato tutti gli oggetti fuori casa, pronti per la discarica. E nel mentre mi riempie la testa di notizie provenienti da villa Pensieri, come se al posto della musica, per rilassarsi, avesse bisogno di tramutare il suo carattere solitario a loquace. Stanco come sono, ogni sera, sento quelle parole entrare e uscire dalle mie orecchie, come un’ambulanza che corre verso di noi per superarci alle nostre spalle, concentrandomi sul disagio che mi crea vedere il Salvatore gettare tutto via. Ad ogni ombra volante fuori dal vetro degli infissi mi si gela il sangue. Non mi piace la novità, preferirei piuttosto morire tra quelle cianfrusaglie polverose. Solo dopo l’ometto si ferma e vengo chiamato a rispondere alle sue domande sul futuro: “Dell’università? Che mi dici? Ti vedo un po’ perplesso in questo periodo. Sei proprio sicuro che non ti pentirai delle tue scelte? Mi sembri insicuro. Come te lo immagini il futuro? Dove ti troverai? Sarai soddisfatto? Quando arriverà la pioggia? Perché il sole non illumina per sempre, lo sai, no? Sai a cosa vai incontro? Perché tutti lo dovrebbero sapere”. Quello che si preannunciava un dialogo, finisce per trasformarsi in un monologo, così come il precedente. Cosa pensa di ottenere lui dalle sue domande? Risposte che nemmeno io credo di avere? Il disagio cresce fino a traboccare e, quando l’ospite coglie l’antifona, comincia il suo passo sincopato per abbandonarmi al mio sonno, solo dopo avermi offerto un abbraccio. Ma davvero basta un abbraccio per arrogarti il diritto di scombinarmi la vita? Ieri è venuto a trovarmi un amico…il signor Preoccupazione.

DANIELE GAETA III QL