Lettere dal fronte (3)… aspettando il 25 Aprile

Verdun, 27 settembre 1916

Carissima mamma,

prima d’iniziare a raccontare sento di dovermi scusare perché è da mesi che non ricevi mie notizie.  

Da febbraio siamo impegnati a respingere l’avanzata tedesca. Non ti devi però crucciare, ché ora marciamo sui loro territori. 

Ti scrivo da un piccolo paesino a pochi chilometri dalla trincea, domattina all’alba partiremo per raggiungere l’avanguardia. Quest’oggi sono in salute, nonostante fino a poco fa manifestassi i sintomi di una leggera influenza. 

Ho perso molti commilitoni, alcuni per malattia, altri per l’artiglieria e altri ancora per maschere antigas difettose. Ormai questo è entrato a far parte della mia normalità. 

Onnipresenti davanti ai miei occhi sono i corpi di connazionali e alleati, affiancati a quelli dei carnefici tedeschi. È capitato più volte che alcuni dei miei compagni raccogliessero dal suolo i nemici feriti per portarli in luoghi lontani dal controllo dei superiori e li rendessero vittime d’indicibili sevizie. 

Non è però ciò che, recentemente, mi ha profondamente turbato.                      

Qualche settimana addietro abbiamo saccheggiato un villaggio. Non intendevamo massacrare gli abitanti ma siamo stati accolti da donne che imbracciavano fucili carichi e abbiamo dovuto difenderci. 

Mentre perlustravo le malinconiche viuzze m’imbattei in un ragazzino emaciato e tremante. Chiedo venia perché, considerandolo un nemico, era mia intenzione voltargli le spalle senza offrirgli alcunché. 

Prima che potessi allontanarmi mi disse “Ich bin Alex.” Mi riavvicinai e, più con gesti che con parole, mi fece capire di aver fame. 

Mosso da inaspettata pietà lo portai in piazza, dove ci si stava preparando a distribuire le razioni. Era rimasto in silenzio a capo chino, fino a quando vide un mio compagno trascinare il cadavere di una donna. Iniziò a corrergli incontro e ad urlare come un folle: “Mutter, Mutter! Ich werde dich töten!” (Questo è ciò che il tenete mi ha dettato ma si è rifiutato di tradurmelo). Nella sua frenesia raccolse da terra un fucile carico e presto si ritrovò un proiettile nel capo.               

La morte dei civili ci sembra banale e scontata ma questo episodio mi ha lasciato estremamente scosso. Quel ragazzo avrebbe potuto essere mio fratello e quel paesino il nostro! 

Magari sarai tu a dover imbracciare il fucile e io il soldato trascinato via per espiare le colpe di tutto il paese. Se io e i soldati nemici ci fossimo incontrati in circostanze diverse, saremmo forse divenuti amici? Se noi li consideriamo cattivi e loro ci vedono allo stesso modo, chi ha torto? Siamo forse tutti mostri e quindi abbiamo ragione entrambi? Le fredde e malsane trincee, le dolorose ferite e le opprimenti divise sono forse la nostra punizione? L’unico modo di espiare le nostre colpe? Dopo esserci macchiati di questi peccati potremo ricongiungerci ai nostri cari in Paradiso? T’imploro mamma, prega anche per quel ragazzino, perché ormai io ne ho perso il diritto.

Ora smetto di tediarti e mi auguro che stiate tutti bene.

                                                                                                                                                                          Un abbraccio,

Victor

Beatrice Delle Cave, 3G, Scuola secondaria Salvemini