Sono la Tua Barca

Con i suoi pensieri in versi, la prof Daniela Lo Faro, del II Istituto di Istruzione Superiore “A. Ruiz” di Augusta, prova a ridestarci dal torpore e dall’indifferenza in cui spesso cadiamo senza accorgercene.

Per chi passa, guarda ma non vede,

sono solo un vecchio ammasso di legname scolorito dalla salsedine.

Ma io ricordo come ero con i miei colori brillanti:

il blu del mare e del cielo, il rosso dei tramonti sul Mediterraneo.

Mi rivedo a pescare tra le onde, circondato dai giochi dei delfini,

a navigare nel Mare Nostro verso casa, con il ventre carico di pesci.

Poi la malvagità degli uomini mi ha destinato ad altro.

La mia stiva non portava più il frutto della pesca,

ma il carico di un traffico disumano:

trasportavo speranze e sogni di una vita migliore.

Risento i pianti dei bambini, i sospiri delle donne.

Rivedo gli sguardi angosciati di chi lascia affetti, famiglia, certezze

e volge per l’ultima volta lo sguardo verso la sua terra,

amata, anche se arida e dura, non libera e crudele.

Li ho custoditi ed ero per loro la strada della salvezza.

Pativo i morsi della loro fame e l’arsura della loro sete.

Ma una notte sono diventato la loro tomba.

Ho sentito le grida, i nomi urlati, i pianti disperati.

Ho ascoltato le ultime preghiere. Le invocazioni.

I nomi amati nell’ultimo sussurro.

Poi il silenzio degli abissi.

Era stato il nostro ultimo viaggio.

Eravamo ormai una cosa sola.

Li ho custoditi nel mio ventre,

in attesa che qualcuno desse loro almeno la dignità di un nome.

 

 

Allora tu che passi fermati un attimo.

Chiudi gli occhi e immagina mille persone che cercano speranze e si affidano all’incerto.

Padri che consegnano figli alle onde fidando in un destino migliore.

Madri che sperano una vita felice in un nuovo paese per il bimbo che portano in grembo.

Ascolta i loro sogni e le loro speranze.

Vedimi per quello che sono stato e per quello che adesso sono.

Mi hanno denominato la “Barca Nostra”, il simbolo di tutte le tragedie del mare.

L’emblema delle vite spezzate,

del futuro negato

dei bimbi che non diventeranno grandi,

dei sorrisi e delle speranze perdute,

della disperazione di chi si affida al mare,

della malvagità degli uomini che ne traggono profitto.

Ma preferirei che tu mi chiamassi “la Barca Mia”,

perché allora sarei certo che senti queste tragedie come tue.

E se proprio non riesci a vedermi così,

allora guardami per quello che appaio:

un inutile relitto, un rifiuto del mare.

Tutto è meglio dell’indifferenza.

DANIELA LO FARO