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Alla Notte del D’Oria Santorelli ribadisce l’importanza dello studio delle lingue classiche

Riflessioni dalla  Notte Nazionale del Liceo Classico 2024

di Bianca Stefanelli,  1B

Biagio Santorelli | Rubrica UniGe

Alla Notte Nazionale del Liceo Classico Andrea D’Oria non poteva mancare la “questione” più discussa tra le nuove e le vecchie generazioni di classicisti: “Perché studiare le lingue antiche?”

A parlarcene è stato il professor Biagio Santorelli, docente di Lingua e letteratura latina presso l’Università degli Studi di Genova.

Il professore inizia il suo discorso con la premessa che l’argomento è una questione complicata, difficile da esporre in breve e che nel tempo ha coinvolto in accesi dibattiti generazioni di popoli sin dall’antichità fino anche alla Grecia antica.

Prima di tutto per comprendere le lingue antiche bisogna leggere i classici, ci informa il professor Santorelli, ma che cosa c’entrano i classici?

I primi a leggere i “classici” sono stati gli antichi Greci che usavano quest’ultimi come mezzo di insegnamento e apprendimento del mondo circostante, della letteratura, della lingua, della storia, della geografia e di molte altre materie umanistiche che studiamo ancora noi oggi a scuola.  

Cosa possiamo fare noi oggi a studiare le lingue antiche?  “Ovviamente – puntualizza il professore – non possiamo rimetterci a studiare come i Greci e i Latini che avevano unificato popoli diversi per mezzo della loro lingua perché il mondo è andato avanti!”. È importante fare riferimento agli antichi ma adattando i loro metodi di studio alla nostra generazione e all’epoca in cui viviamo.

Pochissimi nel mondo antico continuavano con il loro percorso di studi (differentemente da quanto accade nel mondo moderno) e la scuola era un bene riservato a poche persone.

Le lingue classiche, servono a creare una “civitas” consapevole della propria importanza e dei propri doveri.  Le lingue servono a parlare bene e a imparare a discutere – ci informa inoltre  il professore – spiegando che nell’antichità gli studenti erano obbligati a frequentare la scuola di retorica, ma solo dopo aver completato i tre cicli di istruzione, per imparare a risolvere i problemi “scomponendo la realtà per trovare soluzioni”.

Più volte nella storia la scuola di retorica, per la sua importanza, si è sviluppata lasciandoci importanti facoltà ancora frequentate dagli studenti contemporanei come negli Stati Uniti dove dalle colonie del ‘500 fondate dai Gesuiti, nacquero i collegi dove oggi è rinato il modello d’istruzione umanistico: alcuni studenti si pongono un problema e si “battono” con le armi della retorica per la sua risoluzione. 

In che modo dovremmo studiare le lingue antiche? E qual è l’obiettivo da raggiungere?

Secondo Santorelli, si impara per tutta la vita e quindi il nostro legame con queste materie dovrebbe essere ininterrotto. Sarebbe necessario investire sull’apprendimento delle competenze linguistiche fornendo sostegno per la comunicazione, requisito indispensabile per l’esistenza stessa di una lingua.

Gli antichi imparavano a leggere e a scrivere commentando i classici e studiando la grammatica con il gioco, come ci suggerisce il nome della scuola latina “ludus”. Studiare è un gioco, studiare è un piacere, una passione.

Con lo studio delle lingue antiche, scrive Quintiliano, scrittore latino: “Io intendo formare quel perfetto oratore che non può darsi se non in un uomo retto (vir bonus) e perciò esigo che esso possegga una straordinaria eloquenza e anche ogni virtù morale…” un uomo onesto e capace, idoneo quindi ad amministrare gli affari pubblici e privati.

In 15 minuti il professor Biagio Santorelli è riuscito con  “capacità oratoria” ad ammaliare il pubblico, farlo incuriosire e interessare a un argomento complesso e difficile, mostrandoci le lingue antiche vive e attive anche nel mondo moderno, fondamentali per la comunicazione, madri della  comunità, sfatando il mito  delle lingue “morte” e utili solo per le traduzioni.