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OTTAVO INCONTRO Più uguali che diversi – L’anima comune dei popoli nei racconti sull’origine del mondo

 

Il giorno 19 Marzo si è svolto l’incontro conclusivo delle lezioni di italiano.  Come chiusura di un percorso dedicato ai miti sull’origine del mondo non poteva mancare l’analisi di quelli africani.

All’inizio della lezione il nostro compagno Amin ha esposto un racconto del Ghana sulla diffusione della cultura nel mondo. Narra di un uomo ragno (il ragno è simbolo di saggezza in molte culture africane per la sua abilità nel costruirsi la casa, la ragnatela) che viveva in un villaggio con la moglie e i tre figli. Egli pensava di essere l’uomo più saggio del mondo e, non volendo condividere con nessuno la sua saggezza, racchiuse tutte le sue conoscenze in un calabash (una specie di zucca che tagliata e svuotata viene utilizzata come recipiente) che nascose in casa. Ma avendo paura che qualcuno potesse rubarglielo, decise che l’avrebbe celato nell’albero più alto della foresta. Quindi, per non essere seguito, mandò la moglie a prendere l’acqua, il figlio maggiore il fuoco e gli altri due figli alla fattoria per prendere il cibo. Non si ricordò, però, che per andare nella foresta, doveva passare dalla fattoria. Venne quindi visto dal figlio minore che decise di seguirlo. L’uomo ragno arrivò nei pressi dell’albero e iniziò con fatica ad arrampicarsi, tenendo il calabash legato al collo. Il figlio, che lo aveva seguito, si mise a ridere di lui dicendo che se voleva arrampicarsi con più facilità doveva mettere il contenitore sulla schiena. Così l’uomo realizzò che non era la persona più saggia del mondo e, per questo motivo, non era giusto che riservasse le conoscenze solo per se stesso. Ruppe il calabash e liberò tutte le conoscenze, che si diffusero nel mondo. La storia insegna che nessuno può ritenersi il più saggio, bello o intelligente, perché ci sarà sempre qualcuno migliore di lui.

In seguito, divisi nei gruppi, abbiamo potuto analizzare, grazie al lavoro preparato dal Professore Ivan Montebugnoli, alcuni miti africani sull’origine del mondo, per poi esporli alla classe e discuterne.

Leggendo insieme questi testi abbiamo trovato dei collegamenti con racconti di cui avevamo parlato nelle lezioni precedenti di italiano. Il mito della tribù congolese dei Bantu, ad esempio, narra della scoperta del fuoco e questo ci ha ricordato il mito di Prometeo, che ruba il fuoco agli dei, per portarlo agli uomini. Nel mito della creazione di Gomu e Lehe, di origine nigeriana e camerunense, abbiamo notato come l’acqua fosse considerata elemento primordiale e che questo si può ricollegare al racconto biblico del diluvio universale ed agli antichi miti riguardanti le grandi alluvioni volute dalle divinità. Invece il racconto Bangwa (tribù originaria del Camerun), che parla di un dio che si è ritirato nei cieli non volendo confondersi coi frutti della sua volontà, ci ha offerto la possibilità di chiarire la differenza tra i due concetti trascendente/immanente. Nel racconto, inoltre, la presenza di Dio è paragonato al lenzuolo che avvolge i bambini. Questo spiega il fatto che gli uomini lo cercano eternamente, perché sentono   costantemente la sua presenza, avendo Dio creato tutto ciò che esiste. In altri miti è narrata la nascita della terra e di tutti gli elementi  a noi oggi noti.  Alcuni tra questi sono eziologici, hanno cioè lo scopo di spiegare l’origine di aspetti della realtà, come, ad esempio, quelli che spiegano perché il sole e la luna splendono in cielo e perché la lepre ha il labbro spaccato. Quest’ultimo tratta anche l’argomento della morte. Secondo questo racconto, gli uomini non credono nella vita dopo la morte per un messaggio mandato dalla luna agli uomini che fu riferito male da parte della lepre.

La morte è trattata anche in un racconto dei Fulani (popolo nomade che vive nella parte sud ovest del Sahara), dove si  narra di una divinità che scese sulla terra mutando forma e sconfiggendo la morte.

Come ultima attività abbiamo letto una leggenda del Benin che narra  he nei tempi antichi tutti gli uomini erano originari dell’Africa ed il loro corpo era interamente nero, simbolo di purezza. Essendosi moltiplicati in grande numero, la terra del paradiso non poteva ospitarli tutti e quindi, a gruppi, iniziarono ad uscire da essa, non sapendo che l’acqua del fiume magico che lo circondava faceva perdere il pigmento della pelle. I più istintivi lo attraversarono senza pensare, con molta calma e non curanza, diventando così tutti bianchi. Essi popolarono l’Europa. I secondi più svegli lo attraversarono con più cautela e, impiegandoci meno tempo, diventarono bianco scuro o giallo scuro. Questi andarono ad abitare l’Asia e l’Arabia. Gli ultimi, vedendo che, dopo aver immerso i palmi delle mani e le piante dei piedi, questi diventavano bianchi, decisero di attraversare il fiume con delle zattere e restarono in Africa.

Con questa lettura sono terminate le lezioni di italiano che ci hanno offerto molti spunti di riflessione, mostrandoci, attraverso gli elementi comuni delle antiche credenze, che ci sono delle connessioni fra le culture e quindi tra tutti gli uomini e che nessuna popolazione può considerarsi sconnessa o isolata rispetto dalle altre.

 

Testo di Martina Casalini

Immagini di Samuele Tocco